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Museo Archeologico Nazionale di Taranto

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La nascita del Museo Archeologico Nazionale di Taranto, alla fine dell’Ottocento, si colloca in un periodo di grandi lavori urbanistici che interessavano il Borgo Nuovo. Per contrastare la continua e incessante dispersione delle antichità, a fronte soprattutto di una carenza legislativa in materia di beni culturali, la nuova Direzione Generale alle Antichità inviò a Taranto Luigi Viola, da poco nominato ispettore per il Ministero della Pubblica Istruzione e nativo di Galatina. Viola supervisionerà gli sterri eseguiti per la fabbricazione del Borgo Nuovo, dell’Arsenale Militare e di tante zone della città antica, acquistando e salvaguardando un grandissimo numero di reperti, conservati momentaneamente nell’edificio che un tempo ospitava il convento degli Alcantarini. Con un aspetto ancora del tutto vicino a quello di un grande deposito, fu decretata dal re nel 1887 l’istituzione del nuovo Museo Nazionale di Taranto, primo Museo “territoriale” di una regione, la Puglia, che vide nei decenni successivi nella città ionica il punto focale della tutela archeologica. Dopo gli anni di Viola, seguirono diversi importanti ispettori e direttori del Museo, quali Giovanni Patroni, Paolo Orsi, Quintino Quagliati, Renato Bartoccini, Ciro Drago e Felice Gino Lo Porto, i quali oltre a soprintendere alla tutela del territorio pugliese contribuirono negli anni alla creazione di un vero e proprio Museo Archeologico. Dopo una lunga fase di ristrutturazione curata
dalla ex Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, nel 2007 e poi nel 2013 sono state aperte al pubblico le sezioni dedicate alla cultura funeraria ellenistica e all’età romana e medievale. A seguito del conferimento dello statuto di Istituto ad autonomia speciale con D.P.C.M. 171/2014, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto ha potuto ultimare l’allestimento del piano superiore, dedicato alla preistoria e protostoria della Puglia, alla città e alle necropoli di Taranto di età arcaica e classica, aperto al pubblico nel 2016.
Apre il percorso museale la statua in bronzo di Zeus rinvenuta nel 1961 a Ugento, centro dell’antica Messapia. Datata al 530 a.C. circa, la statua raffigura il dio nell’atto di scagliare la folgore (perduta) con la mano destra, mentre sulla sinistra posava un’aquila di cui rimangono gli artigli. Capolavoro della bronzistica tardo-arcaica realizzato con la tecnica della fusione a cera persa, lo Zeus di Ugento deve essere probabilmente attribuito a un atelier tarantino, testimoniando degli intensi contatti che, al di là dei momenti di scontro anche violento, legarono gli abitanti della colonia spartana alle popolazioni indigene del Salento.
Una delle più celebri tombe della necropoli tarantina è la cosiddetta “tomba dell’Atleta”. Scoperta in via Genova e datata al 480 a.C., consisteva di una grande cassa in blocchi di pietra locale, al cui interno era posto un sarcofago ricavato da un unico blocco di carparo che a sua volta conteneva lo scheletro di un giovane di poco più di 30 anni, alto m 1,70 circa e dalla possente muscolatura. Il corredo era formato da pochi oggetti evocativi del ruolo ricoperto dal defunto: un contenitore in alabastro (alabastron) – utilizzato per contenere l’olio con il quale gli atleti si cospargevano il corpo – all’interno del sarcofago e, agli angoli della cassa che lo conteneva, quattro anfore panatenaiche a figure nere. Questi vasi appartengono a una particolare tipologia di anfora, prodotta dalla metà del VI sec. a.C. e legata a un’occasione ben precisa: il loro nome fa infatti riferimento alla festa delle Grandi Panatenee, che si svolgeva ad Atene ogni quattro anni in onore della dea Atena, protettrice della città.
La creatività degli artigiani orafi tarantini produce tra il IV e il I secolo a.C. gioielli di grande raffinatezza e qualità decorativa: i famosi “Ori di Taranto”. Per lo più rinvenuti nelle tombe, deposti come elementi di corredo, i preziosi costituivano per lo più oggetti personali del defunto, usati nella vita quotidiana o in particolari occasioni. Tra gli orecchini, elemento essenziale della parure della donna tarantina e quindi rinvenuti numerosi nei corredi funerari, si distingue per diffusione il tipo a navicella, attestato in diverse varianti. L’eccezionale esemplare di grandi dimensioni esposto al MArTA è arricchito da pendenti ed elementi in lamina intagliata ed esibisce una complessa decorazione ottenuta con la tecnica della filigrana, della granulazione e con l’uso di fili godronati e lisci.
A testimoniare le trasformazioni che la città subì in epoca romana ricordiamo il tessellato pavimentale con Satiro e Ninfa proveniente da una domus rinvenuta presso l’Istituto Maria Immacolata nel 1898. Il pavimento, impreziosito da tessere di numerosi colori, mostra una ripartizione in diversi riquadri, separati da trecce e decorati con motivi figurativi. Nel mezzo è un giovane Satiro che, lanciandosi in avanti, sorprende alle spalle una Ninfa seminuda afferrandole il seno. Tutt’intorno si distribuiscono riquadri decorati con motivi accessori, sempre legati al mondo della natura, come uccelli, una tigre, un leopardo, frutti vari. In posizione assiale al di sotto del riquadro centrale è invece un leone che azzanna una preda.

Data ultimo aggiornamento: 04/03/2020

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